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Il Mostro di Firenze non è l’autore degli omicidi di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco avvenuti il 21 agosto 1968 a Signa. Non lo è né ufficialmente né officiosamente. Per questo delitto passionale commesso sotto gli occhi del figlioletto di Barbara, Natalino, che dopo l’agguato giunse incolume in un luogo sicuro, venne condannato in via definitiva il marito di lei, Stefano Mele, il 12 aprile 1973.
IL PROSCIOGLIMENTO DEI SARDI
Mele, prima e dopo essersi attribuito il crimine, accusò degli omicidi alcuni degli amanti della moglie, Francesco e Salvatore Vinci, sardi come lui. I Vinci, insieme a Giovanni Mele e Piero Mucciarini, vennero indagati nell’ambito del caso Mostro negli anni ’80 e completamente scagionati il 13 dicembre 1989 (sentenza Rotella). Oltre alla totale mancanza di prove nei loro confronti, si trovavano in carcere o sotto controllo in occasione di alcuni delitti del serial killer (sentenza Ferri del 13 febbraio 1996).
A conferma della fine della “pista sarda”, il delitto di Signa venne ritenuto estraneo, in sede processuale, alla serie omicidiaria del Mostro di Firenze (fonte). Mancavano a quel crimine tutte le caratteristiche della maniacalità riscontrate negli omicidi del Mostro, cioè le modalità dell’accoltellamento delle vittime femminili o le escissioni dei loro organi sessuali ove fosse stato possibile. Che cosa rimane oggi a collegarlo ai crimini del Mostro? Bossoli e proiettili del Mostro conservati al di fuori dell’ufficio corpi di reato, in violazione delle regole (sentenza Micheli, pag 20), che sono in contraddizione con la perizia balistica del 1968, l’unico documento che avrebbe dovuto certificarne l’origine.
IL COLLEGAMENTO
Prima dell’estate 1982, gli inquirenti non avevano ancora collegato il delitto di Signa con i crimini del Mostro, come si può appurare anche dalla cartina sottostante pubblicata due giorni dopo gli omicidi di Baccaiano.

Mappa degli omicidi del Mostro dal 1974 al 1982. Assente il caso del 1968
Il collegamento venne effettuato sulla base della scoperta di cinque bossoli e cinque proiettili del Mostro, circa un mese dopo. Erano allegati al fascicolo processuale di Mele archiviato nella cancelleria del Tribunale di Firenze. Tali prove erano state richieste dal giudice istruttore Vincenzo Tricomi all’ufficio corpi di reato, dove non furono trovate. Non erano infatti lì, ma si trovavano all’insaputa dell’autorità giudiziaria in un faldone del caso Mele insieme alla perizia balistica del ’68.
«Il G.I. dell’epoca, avvertito, disponeva il recupero del fascicolo processuale. Intorno al 20 luglio del 1982 esso si trovava sul suo tavolo. Allegati al fascicolo erano, per fortuita e inspiegabile combinazione, i bossoli e i proiettili rinvenuti dopo il duplice omicidio.» Sentenza Rotella, pag 50
PROVE INCOMPATIBILI
Il citato paragrafo scritto dal giudice istruttore Rotella contiene un’approssimazione. Il fatto che le prove di cui parlava fossero realmente quelle rinvenute sulla scena del crimine del 1968 doveva essere provato e non dato per scontato, essendo corpi di reato “archiviati” al di fuori delle regole. I bossoli e i proiettili trovati nel faldone non offrivano la solidità probatoria di reperti rinvenuti nei posti giusti (ufficio corpi di reato o scena del crimine) e si sarebbe dovuto procedere a un’immediata verifica volta a confermarne la loro genuinità. Si sarebbero dovuti confrontare proiettili e bossoli con le relative descrizioni contenute nella perizia balistica del ’68 (priva di macrofoto). Se combaciavano, erano gli stessi rinvenuti a Signa. Altrimenti, no.
Nel 1982, gli investigatori dedussero che, siccome c’erano i proiettili e i bossoli del Mostro nel faldone del caso Mele, il Mostro aveva ucciso a Signa. Se invece di fare questo ragionamento, avessero richiesto il necessario confronto con la perizia, avrebbero scoperto che le prove nel faldone del caso Mele erano del Mostro ma allo stesso tempo erano incompatibili con quelle descritte nel 1968. Qualcuno le aveva sostituite.

La probabile arma del Mostro è una Beretta della Serie 70
IL CONFRONTO
Se le prove di Signa sono state sostituite con le prove del Mostro, evidentemente l’assassino aveva avuto accesso al faldone prima del delitto del 1974. Aveva tentato di copiare la pistola di Signa e aveva allegato i reperti al fascicolo, in modo da collegare la sua arma ai delitti che avrebbe commesso in futuro, depistando gli inquirenti. Impossibile a farsi? La domanda corretta è: chi non avrebbe potuto accedere al fascicolo processuale del caso Mele?
Se vi dessero una banconota da 20 euro senza filigrana l’accettereste? Non penso. Il concetto andrebbe applicato anche alle “prove” del delitto Locci-Lo Bianco. I reperti allegati erano 5 bossoli e 5 proiettili di cartucce Winchester serie H esplose da una calibro .22, stessa tipologia che poi utilizzò il Mostro e che viene menzionata dalla perizia. Tuttavia, marca di cartucce e tipologia dell’arma non bastano a confermare che si tratta degli stessi reperti del 1968. Il depistatore, avendo letto la perizia, avrebbe potuto recarsi in armeria, comprare una pistola calibro .22 e quel tipo di cartucce.
Per verificare la genuinità dei reperti, bisogna prendere la perizia del ’68 e verificare che le impronte primarie dell’arma sui bossoli e sui proiettili rinvenuti sulla scena del crimine siano compatibili con quelli trovati nel faldone. Impossibile non era l’accesso al fascicolo del caso Mele, il reperimento dell’arma, delle munizioni e delle prove per la sostituzione, ma produrre segni identici a quelli originali.
BOSSOLI SOSTITUITI
Le tre impronte primarie che una pistola calibro .22 automatica lascia sul bossolo sono: il segno del percussore, dell’estrattore e dell’espulsore. Non è un segno particolare invece il rigonfiamento del bossolo a ore 6 rispetto alla traccia del percussore, trattandosi di una conseguenza dell’uso di cartucce ad alta velocità nella pistola calibro .22.
In questo caso, è abbastanza facile la verifica, perché l’espulsore dell’arma del Mostro imprime un segno caratteristico sui bossoli che viene descritto per la prima volta nel 1974 dal perito balistico Innocenzo Zuntini.
«I cinque bossoli repertati hanno chiaramente impresso il segno dello espulsore […]» Perizia balistica Zuntini del ’74, pag 1
«[…] sul fondello di ciascuno di essi [i bossoli] è visibile il duplice segno dell’espulsore rilevabile alle ore 7 e alle 9 (rispetto al segno del percussore N.d.R) […]» Perizia balistica Zuntini del ’74, pag 11

Le frecce indicano il segno dell’espulsore sul bossolo del Mostro nel faldone del caso Mele. Si può notare che è duplice e chiaramente impresso. Peccato che non sia descritto così nella perizia del 1968…
Ecco un’immagine di due bossoli: il primo è è uno dei bossoli del faldone del caso Mele, l’altro è uno di quelli descritti da Zuntini nella precedente citazione e rinvenuti sulla scena del crimine del ’74. Come si può notare, entrambi presentano il caratteristico duplice segno dell’espulsore della pistola del Mostro rilevabile alle ore 7 e 9, come riporta correttamente il perito. Le prove rinvenute nel faldone Mele sono del Mostro, ma non significa che siano in quel faldone dal 1968.
Non bisogna tralasciare il fatto che i bossoli in questione non erano nell’ufficio corpi di reato, dove ogni loro spostamento sarebbe stato registrato. L’unica possibilità per verificarne la provenienza è compararle con le descrizioni nella perizia del ’68. Se i bossoli rinvenuti nel faldone fossero gli originali di Signa, la descrizione del ’68 corrisponderebbe a essi e alla descrizione del ’74.
Verifichiamo.
«Rileviamo ancora che su tutti i bossoli in sequestro sono quasi irrilevabili i segni dell’estrattore (che deve apparire in genere dietro il righellino in corrispondenza delle ore 15 (sic) e dell’espulsore (che di norma si rileva sull’orlo del fondello in corrispondenza delle ore 20 circa).» Perizia balistica Zuntini del ’68, pag 8
Questa è un’osservazione: i segni sui veri bossoli di Signa chiaramente non sono gli stessi delle prove allegate. Sugli autentici bossoli del ’68 non era rilevabile e chiaramente impresso il duplice segno dell’espulsore della pistola del Mostro assolutamente osservabile anche dagli incompetenti (come me) nelle prove rinvenute nel faldone del caso Mele. Il perito oltretutto postulò un angolo fra percussore ed espulsore diverso da quello dei bossoli allegati, alle ore 8 invece che alle ore 7 e 9, il che esclude al 100% che abbia descritto qualsiasi bossolo espulso dalla pistola del Mostro. Ne consegue che i bossoli allegati al fascicolo del caso Mele non erano gli originali e che l’arma di Signa non era “la pistola del Mostro”.
PROIETTILE DIVERSO
Questa conclusione fondata sulle osservazioni del perito è confortata da un’altra osservazione relativa al proiettile E. Questo reperto ha una particolarità che consente una comparazione utile a un’eventuale comparazione. Viene infatti descritto così dall’esperto balistico Zuntini nel 1968:
«E) proiettile estratto, in sede d’autopsia, dal corpo del Lo Bianco; di piombo, ramato, con 6 righe ecc. identico ai precedenti […] presenta infatti, nella parte ogivale deformata una sbavatura di metallo rivolta a destra cioè nel senso della rigatura.» Perizia Zuntini del ’68, pag 10

Pseudo proiettile E
Come si può osseravare, la sbavatura di metallo sulla “base ogivale” dello pseudo proiettile E (sottolineata in verde) non è propriamente una “sbavatura” ed è quasi ortogonale in senso contrario alla rigatura (sottolineata in rosso). Il depistatore non è riuscito a riprodurre la descrizione di Zuntini e, per di più, ha scambiato la destra con la sinistra. A prescindere da come sia stata prodotta la scalfitura sottolineata in verde, questo proiettile conferma che è avvenuta una sostituzione dei reperti.
PISTOLA DIVERSA
Dal confronto fra prove rinvenute nel faldone Mele e le osservazioni di Zuntini del 1968 emerge l’incompatibilità di tutte le impronte primarie sui bossoli, compresa quella del percussore.Il rapporto della polizia sul caso di Signa del 21 settembre 1968 riporta che a una prima analisi Zuntini avesse ipotizzato che l’arma utilizzata fosse una Beretta, la marca di pistole più popolare in Italia.
«[…] il perito balistico, colonnello di Artiglieria Zuntini Innocenzo, in servizio presso il Comando Artiglieria del VII° Comiliter di Firenze, accerta, dall’esame dei bossoli rinvenuti, che trattasi di pistola, presumibilmente “Beretta”, calibro 22, vecchia, arrugginita ed usurata.» Rapporto Matassino, pag 21
La perizia balistica, consegnata il successivo 30 ottobre, non accenna alla marca Beretta, anche se le prove al poligono logicamente furono effettuate anche con pistole Beretta calibro .22, quindi con pistole Beretta della serie 70 come quella che si ipotizza essere stata utilizzata dal Mostro.
«Sono state effettuate prove di tiro con 35 armi diverse, tutte però del tipo “Logn Rifle” cal. 22 ma in nessuna siamo riusciti a trovare un percussore che desse un segno di percussione della stessa forma di quella impressa sui bossoli in sequestro.» Perizia balistica Zuntini del ’68, pag 21
Si può concludere che l’arma di Signa probabilmente non era nemmeno una Beretta. Zuntini, pur avendo ipotizzato che lo fosse, non fu in grado di accertarlo, a differenza di quanto avvenne nel primo caso sul Mostro del 1974 dove riuscì facilmente a trovare una corrispondenza fra l’arma del serial killer e le Beretta della serie 70.
Ciò esclude definitivamente che la pistola del ’68 fosse l’arma del Mostro che aveva espulso i bossoli rinvenuti nel faldone del caso Mele.
«Il segno di percussione anulare su tali bossoli è a sbarretta rettangolare delle dimensioni di mm 1,6 x 0,75 che è caratteristico della armi Beretta (ogni marca o tipo di arma in cal. 22 L.R. ha un segno di percussore particolare inconfondibile).» Perizia balistica Zuntini del ’74, pag 1
Che cosa rimane del collegamento fra il Mostro e il caso del ’68, dunque? La supposizione che fosse difficile accedere a una cancelleria di tribunale per consultare documenti processuali e sostituire materiale conservato all’insaputa dell’autorità giudiziaria in un faldone di un caso chiuso. Questa è un’illusione smentita dai fatti, cioè dal confronto con esito negativo fra le prove rinvenute nel fascicolo del caso Mele e la perizia del ’68, a prescindere da come e da chi effettuò il depistaggio.
CITTADINO-AMICO
La versione ufficiale, tardiva, dell’origine del collegamento fra Signa e i delitti del Mostro vuole che un maresciallo dei carabinieri, Francesco Fiori, avesse ricordato i fatti di Signa, segnalandoli al giudice istruttore (La Nazione, 27 gennaio 1984, pag 2).
Se così fosse, il depistatore fu molto fortunato. Ma è probabile che le cose andarono diversamente e che fu proprio il depistatore a indirizzare gli inquirenti sulla falsa pista nell’estate del 1982. I documenti ufficiali dell’epoca firmati dalla PM Silvia Della Monica e dal giudice istruttore Vincenzo Tricomi indicano indicano infatti che fu un anonimo, tramite lettera, e non Fiori, a collegare i delitti.
«Il Giudice Istruttore del Tribunale di Firenze Dr Vincenzo Tricomi segnalava a questo ufficio l’importanza di una lettera anonima, idirizzata alla scrivente e trasmessa per indagine a codesto Reparto, la quale evidenziava come i duplici omicidi commessi dal “mostro” fossero cinque e non quattro, richiamando l’attenzione su un episodio analogo avvenuto in passato, in altra località della Provincia.
Questo Ufficio ritiene indispensabile ai fini delle ulteriori indagini concernenti l’identificazione dell’autore dell’anonimo, rientrare in possesso dello scritto, potendosi presupporre che esso sia attribuibile a conoscenza dell’identità dell’assassino.
Facendo seguito pertanto a sollecitazioni verbali, si prega di voler procedere a pronta trasmissione.» Richiesta del PM Silvia Della Monica del 20 agosto 1982
«A seguito di segnalazione anonima che esisteva un quinto duplice omicidio commesso dal cosiddeto “mostro” si risaliva all’omicidio di Lo Bianco Antonio e Locci Barbara commesso nel 1968 in relazione al quale era stato condannato il marito della Locci.» Richiesta del GI Vincenzo Tricomi del 29 ottobre 1982
Questa versione è confermata indirettamente da un appello dei Carabinieri a un anonimo firmatosi “cittadino amico”, pubblicata da La Nazione nelle stesse ore del rinvenimento delle prove nel faldone del caso Mele, il 20 luglio 1982.
«Un appello dei carabinieri per il mostro
Un appello è rivolto dal comando del nucleo investigativo dei carabinieri di Borgo Ognissanti a una persona che ha dato più volte un contributo anonimo all’indagine sui delitti del maniaco, il cosiddetto “mostro”, perché si rimetta in contatto con loro.
L’uomo, che nella sua ultima lettera si è firmato “Un cittadino amico” e che ha scritto tre volte affermando di non rivelare la sua identità per non esser preso per mitomane, dovrebbe fornire di nuovo la sua collaborazione, anche solo telefonando al nucleo investigativo dei carabinieri.» La Nazione, 20 luglio 1982, pag 9

“Un cittadino amico” è la traduzione letterale di “A citizen friend”, ultime due possibili firme di Zodiac
Il depistatore aveva consultato il fascicolo Mele prima del crimine del 1974. Aveva letto il rapporto balistico, preso una pistola simile e lasciato i suoi proiettili e i bossoli nel faldone. Doveva avere le competenze necessarie, sia in ambito balistico che investigativo, nonché contatti con la polizia giudiziaria a Perugia, dove venne ospitato il fascicolo del caso Mele fra il 1972 e il 1974. Dopo avere iniziato la sua scia omicidiaria, nel 1982, aveva suggerito il collegamento ai Carabinieri firmando la sua lettera finale “cittadino amico”. Queste due parole in inglese si traducono “citizen” e “friend” e sono le ultime possibili firme di Zodiac, secondo un’analisi dell’FBI del 1974. Erano apposte alle lettere del 3 febbraio e dell’8 maggio 1974, inviate a San Francisco pochi mesi prima del delitto del Mostro a Rabatta.
Perché il serial killer “italiano” mise in atto questo depistaggio? Probabilmente perché il delitto del ’68 lo avrebbe scagionato da tutti quelli che avrebbe commesso, se fosse stato in grado di collegarlo ad essi. Se fosse stato in grado di dimostrare di non essere in Italia nel 1968 e avesse sparato con la pistola usata nel crimine di Signa, sarebbe stato quasi certamente escluso dai sospettati.
Il responsabile era qualcuno che avrebbe potuto dire: “Sono innocente perché non ero in Italia nel 1968”. Poteva dunque essere Joe Bevilacqua, il quale nel 1968 era in Vietnam, mentre faceva l’investigatore militare a Camp Darby, Pisa, fra il 1971 e il 1973, esattamente nel periodo in cui il Mostro avrebbe dovuto sostituire le prove del caso Mele.
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