Versione originaria del primo articolo sul “depistaggio” del 2020
Ultima revisione: 2 giugno 2024
Questo articolo rielabora due mie relazioni del 2020 e 2021.
La prima è scaricabile a questo link. Si trova agli atti del procedimento per omicidio n. 879/18 della Procura di Firenze a carico di Joe Bevilacqua scaturito da una mia denuncia del 2018 e archiviato nel 2021.
La seconda, disponibile qui, è stata accorpata al fascicolo della Procura sull’italo-americano dopo l’archiviazione.
Premetto che non era necessaria una cospirazione per attuare il depistaggio che avrebbe connesso falsamente i duplici delitti del Mostro di Firenze (1974-1985) a un caso analogo del 1968, tramite una sostituzione dei bossoli e proiettili di quel delitto con reperti provenienti dalla famigerata Beretta calibro .22 del serial killer
Era sufficiente un unico e imprescindibile soggetto. Il Mostro.

Riassunto
In questo post spiego come il Mostro di Firenze abbia depistato le indagini su se stesso attribuendosi falsamente un delitto del ’68, il duplice omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco.
Non erano necessari né complici né una cospirazione per il depistaggio.
Verrà dimostrato che ciò che serviva erano soprattuto ingegno, esperienza con le armi, e l’autorizzazione di un magistrato per consultare le carte del processo a carico di Stefano Mele, marito reo confesso di Barbara.
Il caso del ’68 è stato collegato a quelli del Mostro 14 anni dopo i fatti, dopo il quarto attacco nel luglio 1982, a causa del ritrovamento di cinque bossoli e cinque proiettili provenienti dalla pistola del serial killer nel fascicolo Mele.
I reperti avrebbero dovuto essere custoditi sotto sigillo nell’apposito “Ufficio corpi di reato” e non è dato sapere quanto sia durata l’interruzione della catena di custodia legale.
L’ipotesi che proponevo nelle relazioni del 2020 e del 2021 agli atti del caso Bevilacqua, e riporto qui, è che il Mostro abbia consultato la perizia balistica del caso del ’68 imbattendosi negli autentici bossoli e proiettili di quel delitto prima di iniziare ad attaccare le coppie a Firenze nel settembre 1974. La perizia non aveva foto al microscopio dei reperti, che quindi erano potenzialmente replicabili.
Dopo la consultazione, il serial killer ha cercato un’arma adatta a produrre repliche credibili. Una volta ottenute recandosi in un poligono di tiro o in un luogo isolato, è tornato in tribunale, a Firenze o a Perugia dove il fascicolo Mele è rimasto fra il ’73 e il ’74, le ha inserite nel fascicolo in sostituzione delle originali. Poi, ha utilizzato la pistola negli omicidi, segnalando il falso collegamento qualche anno dopo (vedi “cittadino amico” nel primo capitolo).
Per effettuare il depistaggio, erano sufficienti un po’ di ingegno, esperienza con le armi, due consultazioni del fascicolo Mele, una pistola adatta, una forma di gelatina, una lamiera e qualche ora in un poligono di tiro.
La tesi del depistaggio qui descritta si fonda in particolare su:
- Un confronto fra le descrizioni della perizia balistica originale del ’68 e le prove trovate allegate al fascicolo Mele.
- Una consultazione di 21 esperti balistici, dei quali 10 sorteggiati, con un calcolo probabilistico ripetibile sull’ipotesi del depistaggio.
- Testimonianze di avvocati e verifiche dirette nelle sale lettura di cancellerie di Tribunale e Procura.
- Un test al poligono di tiro.



INDICE
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Premessa
1. Storia di una manciata di prove
2. Depistaggio
3. Incongruenze fra prove e perizia del ’68
4. Probabilità
5. Test di sparo e ricostruzione dei fatti
PREMESSA
Gli esperti balistici consultati dall’autorità giudiziaria fiorentina hanno acclarato che i bossoli e i proiettili dei delitti del Mostro sono stati sparati dalla stessa arma calibro .22 utilizzata dal serial killer, quasi certamente una Beretta.1
Gli esperti dell’FBI chiamati a redigere un profilo del serial killer nell’ ’89 osservano che avrebbe potuto cambiare pistola nel corso degli anni. Non farlo è stata una sua scelta precisa.

Un dettaglio non banale è stato tralasciato dagli inquirenti.
Riguarda le presunte prove del duplice omicidio del ’68, caso ancora oggi non annoverato ufficialmente ai crimini del Mostro.
A differenza degli altri, il duplice omicidio del ’68 viene collegato 14 anni dopo i fatti, grazie a quella che è stata definita dal giudice istruttore Mario Rotella una “fortuita e inspiegabile combinazione“, ossia il ritrovamento di cinque bossoli e cinque proiettili nel fascicolo processuale dell’uomo che aveva confessato il delitto.
I reperti sarebbero dovuti essere in un plico sigillato nell’Ufficio corpi di reato (il reparto prove), non fra le carte del processo Mele, in un fascicolo consultabile dalle parti e da chiunque con un’autorizzazione del magistrato competente.
Quella che viene definita “catena di custodia legale” è stata interrotta per un periodo di tempo imprecisato, potenzialmente anni.
Non essendo mai stati ricostruiti i passaggi delle prove con precisione, non si sa né quando bossoli e proiettili siano finiti nel fascicolo Mele né chi li abbia avuti sotto mano.
Si capisce allora qual è il problema. Il fatto che quei reperti provengano dalla pistola del Mostro non significa che fossero gli stessi del delitto del ’68.
Bossoli e proiettili attribuibili all’arma del serial killer potrebbero essere stati introdotti successivamente negli atti del processo Mele in sostituzione degli originali.
Per questo motivo, sarebbe stato necessario controllare con accuratezza se le descrizione della perizia balistica del ’68 (non ha foto al microscopio) e le prove trovate nel fascicolo corrispondessero.
Fino al 2024, non è mai stato disposto alcun accertamento di questo tipo dalla Procura di Firenze.

Ricerca
L’ipotesi del depistaggio, nata nei primi anni ’90, qui viene affrontata con una metodologia di ricerca scientifica.
Questa ricerca:
- accerta la possibilità di una sostituzione delle prove del ’68;
- ne quantifica la probabilità.
Come si vedrà, sono state individuate alcune importanti contraddizioni fra le prove del delitto del ’68 e quelle allegate al fascicolo Mele.
A partire da queste discrepanze è stato effettuato un calcolo (indiretto) delle probabilità di un depistaggio, che si attesta all’82% (minimo) rispetto all’unica ipotesi alternativa (da 0 a 18%).
Per sapere come è stata effettuato il calcolo, bisogna scorrere la pagina fino al capitolo “Probabilità”.
Subito dopo l’indagine statistica, si può leggere una ricostruzione dei fatti avvalorata da un test al poligono su come sia stato possibile al depistatore avere accesso a un fascicolo processuale, fabbricare le prove e sostituirle con le originali.
Tutte le fasi del depistaggio (a eccezione dell’aquisto della pistola) sono state sperimentate con successo. In basso, un’immagine relativa alla consultazione di un fascicolo penale nel 2020. Credo che parli da sé.

STORIA DI UNA MANCIATA DI PROVE
12 aprile 1973. Stefano Mele, reo confesso del duplice omicidio di sua moglie Barbara Locci e l’amante Antonio Lo Bianco viene condannato in via definitiva dalla Corte d’Appello di Perugia. Rimarrà in carcere fino alla primavera dell’ ’81.
I faldoni contenenti gli atti processuali, investigativi e tutto ciò che è scritto nero su bianco e fa parte del processo restano ancora per un anno alla cancelleria del Tribunale di Perugia. Tra di essi c’è anche la perizia balistica che indica le caratteristiche dell’arma e delle munizioni utilizzate negli omicidi: una pistola calibro .22, modello e marca non identificati, apparentemente “vecchia e logora”, e cartucce Winchester ramate.
1 aprile 1974, i faldoni e il loro contenuto vengono trasmessi a Firenze. Vi resteranno fino al 20 luglio 1982 circa, quando saranno prelevati dalla polizia giudiziaria alla caccia di un possibile collegamento fra quel delitto e gli omicidi del Mostro.
Nel giugno 2024, il ricercatore Dario Quaglia porterà alla luce che il 15 giugno 1972, il fascicolo Mele è stato trasmesso dalla corte d’appello di Perugia al Tribunale di Firenze nel corso di un’indagine a carico di Francesco Vinci, a cui era stato sequestrato un revolver calibro .22. Il fascicolo richiesto dal sostituto procuratore di Firenze Carlo Casini è stato restituito il successivo 28 giugno. Come nell’atto di trasmissione del ’74, anche nella richiesta del ’72 non si fa riferimento a bossoli e proiettili trovati nel fascicolo Mele 10 anni dopo.

Nasce il Mostro
166 giorni dopo la trasmissione degli atti del processo Mele a Firenze, sabato 14 settembre 1974, una coppia di adolescenti viene uccisa a colpi di calibro .22 e a coltellate in un campo vicino a Borgo San Lorenzo, nel Mugello. I fendenti post-mortem sul corpo della vittima femminile suggeriscono che l’autore sia un maniaco.
Nessuno degli investigatori che già ha indagato sul delitto del ’68, tra cui il futuro comandante della sezione operativa dei Carabinieri di Firenze, il capitano Olinto Dell’Amico, mette in correlazione questo duplice omicidio con quello della coppia di amanti di sei anni prima. Non lo fa nemmeno il colonnello Innocenzo Zuntini, lo stesso perito balistico che ha esaminato bossoli e proiettili del delitto del ’68.
Anche nel ’74, l’arma utilizzata è in calibro .22 e il munizionamento Winchester ramato, ma, stavolta, le tracce rinvenute sui bossoli consentono al colonnello Zuntini di individuare facilmente marca e modello della pistola. È quasi certamente una Beretta della serie 70, scrive nella sua relazione finale.

Le differenze fra i due delitti sono numerose.
Nell’agguato del ’68, insieme alla coppia appartata in auto, c’era anche una terza persona, il figlioletto della donna, lasciato indenne dall’assassino. Nel primo caso, l’ambiente delle vittime, la testimonianza contraddittoria del marito, la stessa sopravvivenza del bambino indicavano che gli omicidi erano maturati nell’ambito delle relazioni sentimentali, se non familiari, della vittima femminile. Il movente più probabile era la gelosia. Nell’ ’84, i periti dell’Università di Modena incaricati dalla Procura, De Fazio-Galliani-Luberto, scrivono nella loro relazione criminologica che il delitto:
"...appare talmente privo di connotazioni abnormi da indurre a formulare l'ipotesi di un omicidio passionale (ipotesi dei resto subito avanzata dagli inquirenti, ed ampiamente suffragata dalle notizie inerenti alle abitudini e condizioni di vita, ai rapporti esistenziali, all'ambiente di appartenenza delle due vittime)."
Per gli stessi esperti, al contrario, nel ’74, l’omicida è stato mosso “da motivazioni sadico-sessuali“. Studia con attenzione il luogo dell’attacco, prepara con cura l’aggressione, spara, uccide il ragazzo e si avventa con il coltello sulla vittima femminile, posiziona il suo corpo sul prato, lo taglia, mette un ramo nella vagina e se ne va, portando con sé qualche oggetto. L’assassino, in questo caso, colpisce per il “piacere di uccidere”, seguendo un rituale preciso.

Il ritorno del “maniaco”
Passano sette anni. Il caso del ’74 è stato quasi dimenticato quando il 6 giugno 1981 una coppia di giovani viene uccisa nelle campagne vicino a Scandicci, colpita da una scarica di colpi della stessa arma che aveva ucciso i due ragazzi nel ’74. Il collegamento è pressoché immediato, perché anche stavolta ci sono segni evidenti di maniacalità. L’assassino ha infatti reciso e asportato il pube della vittima femminile. Ripeterà l’agguato su un’altra coppia il 22 ottobre successivo, a Calenzano, mentre un uomo è in carcere al suo posto.
L’anno successivo, torna la notte del 19 giugno 1982. Vicino a Montespertoli.
Non ci sono escissioni stavolta, probabilmente perché il killer non ha fatto in tempo.
L’auto delle vittime, forse nel tentativo di una fuga, è finita in mezzo alla strada e poi giù in un fossetto. L’assassino si è dovuto dileguare in fretta dopo aver sparato ai fanali, per non essere trovato.

Nei giorni successivi al delitto, la pm Silvia Della Monica chiede ai Carabinieri di accertare l’esistenza di eventuali casi analoghi in Italia e all’estero.
In realtà, sin dall’ ’81 (ringrazio Simone D’Angelo) le forze dell’ordine stanno cercando possibili precedenti del Mostro (immagine precedente). Non troveranno nulla, però, fino al luglio 1982, in concomitanza con uno strano appello a uno scrivente anonimo…

Il “cittadino amico” e le prove nel fascicolo Mele
Il 20 luglio 1982 appare un messaggio a firma del comando del Nucleo Investigativo dei carababinieri a pagina 9 de La Nazione, individuato dal blogger De Gothia molti anni più tardi.
Il trafiletto, intitolato “Un appello dei carabinieri per il mostro” recita:
"Un appello è rivolto dal comando del nucleo investigativo dei carabinieri di Borgo Ognissanti a una persona che ha dato più volte un contributo anonimo all'indagine sui delitti del maniaco, il cosiddetto "mostro", perché si rimetta in contatto con loro.
L'uomo, che nella sua ultima lettera si è firmato "Un cittadino amico" e che ha scritto tre volte affermando di non rivelare la sua identità per non essere preso per mitomane, dovrebbe fornire di nuovo la sua collaborazione, magari anche solo telefonando al nucleo investigativo dei carabinieri."
Il messaggio dei Carabinieri al misterioso “cittadino amico” si accompagna, nelle stesse ore, a quello che viene considerato dagli inquirenti un anomalo ritrovamento.
Sulla scrivania del giudice istruttore Vincenzo Tricomi sono arrivati finalmente i faldoni che compongono il fascicolo processuale di un duplice omicidio del ’68. Li aveva chiesti quattro giorni prima al Tribunale di Perugia che, di rimando, gli ha fatto sapere che avrebbero dovuto trovarsi nell’archivio del tribunale fiorentino.
All’interno di uno dei faldoni, il giudice Tricomi trova un sacchetto con cinque bossoli e cinque proiettili.2 Quei reperti non dovrebbero trovarsi lì, ma sotto sigillo nell’Ufficio corpi di reato. Come ci sono finiti fra le carte del processo Mele? Quando?

Il collegamento
Tricomi fa esaminare bossoli e proiettili dagli esperti balistici, i quali confermano che sono del Mostro. Chi indaga deduce che il serial killer abbia ucciso nel ’68.
Le vittime erano una coppia di amanti, la moglie del reo confesso Stefano Mele, Barbara Locci, e Antonio Lo Bianco, uccise dai colpi di una pistola calibro .22 in una strada di Signa la notte del 22 agosto 1968.
Il piccolo figlio di lei, Natale Mele, sdraiato sul sedile posteriore dell’auto dove è stata trovata la coppia, è sorpavvissuto incolume all’agguato.
Dopo l’aggressione, “Natalino” si è allontanato fino ad arrivare a una casa nei paraggi.

L’omicidio è maturato in un ambiente di emigrati di origine sarda. Locci aveva molti amanti ed è consolidata l’ipotesi che il movente sia stato la gelosia.
Il giorno dell’omicidio il marito della donna Stefano Mele era tornato a casa dal lavoro per un asserito malessere. La mattina dopo, si è fatto trovare dai Carabinieri con le mani coperte di grasso (utile a ingannare il test del guanto di paraffina).
Mele ha confessato, ritrattato e accusato altri (i fratelli Salvatore e Francesco Vinci e Carmelo Cutrona), per poi auto-accusarsi di nuovo. Mostra i sintomi di una forma lieve di malattia mentale.
Il processo Mele si è concluso con un secondo appello a Perugia nel ’73. Il fascicolo è stato trasmesso a Firenze il 1 aprile 1974, qualche mese prima dell’inizio degli omicidi accertati del Mostro.
Il confronto prove – perizia del ’68
Il ritrovamento dei bossoli e dei proiettili di Signa non è così anomalo. Un esperto legale nel 2018 mi dirà che ogni tanto capita di trovare buste con prove di piccole dimensioni, anche proiettili e bossoli, nei vecchi fascicoli penali nei tribunali italiani.
Nello specifico del caso Mostro, l’importanza che riveste il ritrovamento, in grado di dare una direzione alle indagini collegando una serie di omicidi a un precedente, rende necessarie verifiche accurate.
Il fatto che i reperti si trovino fra le carte processuali e non nell’ufficio corpi di reato, dove avrebbero dovuto essere custoditi, significa che per un periodo di tempo indeterminato fra il ’68 e l’ ’82 sono stati alla mercé di chiunque abbia consultato il fascicolo, comprese le parti. Il dubbio sulla loro provenienza è legittimo e non può essere preso alla leggera.
I reperti sono senz’altro provenienti dalla pistola del Mostro.
“E allora il problema qual è?”, qualcuno dirà.
Il problema è che i reperti sono del Mostro ma non si sa se sono realmente quelli del ’68.
Potrebbero non esserlo.
E se non lo sono, chi avrebbe potuto metterli nel fascicolo, in sostituzione degli originali?
L’unico che avrebbe potuto produrli, il Mostro stesso.
Ma come si può credere che il serial killer abbia depistato l’indagine su se stesso, lasciando i reperti della sua pistola in un fascicolo processuale?
In che modo, quando e perché l’avrebbe fatto?
Qualche passo indietro.
Tornando alla perizia balistica del duplice omicidio di Signa, si osserva che non contiene foto al microscopio che diano certezze sull’identità dei reperti, ma descrizioni generiche. Sarebbe necessario un confronto preciso fra la perizia del ’68 e i bossoli e proiettili rinvenuti nel fascicolo per verificare o escludere l’ipotesi di un depistaggio.
Questo controllo viene effettuato dalla polizia giudiziaria solo informalmente, senza chiedere a un esperto balistico un parere scritto.
In poche parole, viene dato per scontato che i reperti nel fascicolo Mele siano gli stessi del ’68.

Una segnalazione anonima dietro alla nuova pista?
Come gli inquirenti arrivino nell’estate dell’ ’82 a ipotizzare il collegamento non sarà mai chiarito del tutto.
La versione ufficiale messa a verbale nell’ ’86 vuole che un maresciallo dei Carabinieri di Firenze, Francesco Fiori, abbia ricordato il delitto e ne abbia messo a conoscenza i colleghi, alcuni dei quali si sono occupati del caso, come il colonnello Olinto Dell’Amico.3
Tuttavia, in una richiesta del 29 ottobre 1982, il giudice istruttore che coordina l’attività investigativa, Vincenzo Tricomi, sostiene che l’indagine sul collegamento con Signa sia nata da una “segnalazione anonima”.

Vent’anni dopo, a una richiesta di chiarimento del cronista della Nazione Mario Spezi (autore con Douglas Preston del libro “Dolci colline di sangue”), Tricomi risponderà aggiungendo alcuni dettagli alla sua versione, affermando che Fiori gli avrebbe portato all’attenzione un biglietto anonimo, anzi un ritaglio di giornale con una scritta.
Spezi e Preston raccontano:
"Può anche essere che quel maresciallo si sia ricordato del delitto del ’68, ma la verità è che ricevemmo un’informazione precisa”.
“Un’informazione? E da chi? Che tipo d’informazione?” lo incalzai, annusando una notizia clamorosa.
“Arrivò un biglietto”, riprese Tricomi per nulla agitato “un biglietto anonimo, scritto in stampatello. Anzi, la scritta era su un vecchio ritaglio di giornale che parlava dell’omicidio del ’68. Si leggeva: Perché non andate a rivedere il processo di Perugia contro Stefano Mele?”
Si appura indirettamente da una richiesta della pm Della Monica dell’agosto 1982, che già un mese dopo il ritrovamento dei reperti il giudice Tricomi sia a conoscenza di una segnalazione anonima sul caso del ’68.
È possibile che questo anonimo sia il “cittadino amico“?
La cronologia lo lascerebbe pensare.

Dove sono le lettere del “cittadino amico”?
Nel 2022, un ricercatore del caso Mostro, Marco Aufiero, renderà noto che nel 2019 la Procura ha accertato l’esistenza di una replica dei Carabinieri alla richiesta di Della Monica. Nell’ ’82, i militari dell’Arma trasmettono al magistrato fiorentino una lettera che però non si riferisce a Signa ma a un altro episodio.
Forse Della Monica, informata da Tricomi dell’esistenza di una lettera sul ’68 ha frainteso pensando che fosse indirizzata a lei?
O è Tricomi che ha sbagliato?
È possibile che il 20 luglio 1982 i carabinieri abbiano già visionato la copia della relazione balistica del ’68 conservata per legge dall’esperto, quando viene pubblicato su La Nazione l’appello del comando dei carabinieri al “cittadino amico”. Se è così, sanno già che ci sono alcune corrispondenze fra i reperti di Signa e del caso Mostro, sebbene non possano ancora avere la certezza di un collegamento.
Possibile che solo per mera coincidenza, proprio nelle ore precedenti al ritrovamento del fascicolo Mele, i Carabinieri che stanno indagando su Signa avrebbero elevato al rango di interlocutore uno dei tanti anonimi che spediscono lettere agli inquirenti?
Se era così “interessante” quanto scritto dal “cittadino amico”, tanto da chiedergli un colloquio anche solo telefonico, come mai non saranno trovate note informative su di lui?
Dove sono finite le sue tre lettere?
Bisogna ricordare che alcuni dei Carabinieri che investigano sul Mostro hanno partecipato all’indagine su Signa nel ’68, compreso il colonnello Dell’Amico.
Forse temono che dire al pubblico che sia stato un anonimo a dare l’input al collegamento li farebbe apparire come “incapaci”. Può essere questo il motivo per aver tagliato fuori l’anonimo, magari proprio il “cittadino amico”, dalla ricostruzione dei fatti?

L’indagine finisce in un vicolo cieco
Al di là della versione ufficiale degli inquirenti sull’origine del collegamento, dopo sette anni di attività investigativa meticolosa che non ha mai fermato il serial killer, il 13 dicembre 1989, tutti i sospettati del caso del ’68 vengono prosciolti dalle accuse. La sentenza di questo delitto non verrà mai revisionata.
Per la giustizia italiana, il colpevole rimarrà Stefano Mele.
Il giudice Francesco Ferri, nelle motivazioni della sentenza d’appello del Processo Pacciani, ricorda due fatti importanti:
- Dall’ ’82, il Mostro ha continuato a uccidere mentre tutti i sospettati del caso di Signa venivano via via arrestati e/o messi sotto sorveglianza;
- Gli indizi lasciano pensare che il movente dell’omicidio del ’68 sia la gelosia, al contrario di quello dei crimini successivi.
Anche se non vi è una certezza definitiva, ci sono vari indizi che fanno ritenere che Mele sia realmente coinvolto nel delitto. Uno dei più rilevanti è la sopravvivenza del figlio illeso. Per quanto piccolo, Natale Mele era un testimone pericoloso. Perché il Mostro lo avrebbe risparmiato?
Di certo, è poco plausibile che Mele si sia addossato la colpa del delitto senza avere un motivo. E che motivo avrebbe avuto per finire in carcere al posto di un assassino sconosciuto?

La pistola è passata di mano?
L’indagine scaturita dal collegamento con Signa viene archiviata nell’ ’89 con il proscioglimento dei sospetti complici di Mele, suo fratello Giovanni, Piero Mucciarini, i fratelli Francesco e Salvatore Vinci.
Il Mostro li ha scagionati con i suoi delitti, continuando a colpire via via che sono stati arrestati o messi sotto sorveglianza, come si è visto.
Il mistero della pistola, però, rimane.
Il giudice istruttore Mario Rotella, nella sentenza di proscioglimento (stralcio in basso) ipotizza un trasferimento dell’arma dall’autore/autori dell’omicidio del ’68 al Mostro.
Ma sarà così?

Alcuni (anch’io) ritengono che la soluzione di quello che viene definito “un enigma allucinante” in un’intervista a Enzo Biagi dal sostituto procuratore Francesco Fleury, titolare del fascicolo sul Mostro negli anni ’80 insieme ai colleghi Piero Luigi Vigna e Paolo Canessa, potrebbe essere un’altra.

Interruzione della catena di custodia
L’ipotetico passaggio dell’arma di Signa impedisce di scartare a priori indagati con un alibi per il caso del ’68. Rimangono comunque forti perplessità su come questo trasferimento possa essere avvenuto.
Dall’altra parte, i possibili indagati del ’68 sono stati scagionati dal Mostro, sebbene qualcuno sospetti che Salvatore Vinci possa avere eluso la sorveglianza dei Carabinieri nell’ ’85, anche se appare poco credibile.
Per districare questo groviglio, bisogna trovare il nodo principale.
Dove può nascondersi l’errore?
Nelle fondamenta stesse del collegamento. Come si è visto, è stato dato per scontato, dopo un esame “informale” e non approfondito, che bossoli e proiettili del Mostro trovati nel fascicolo Mele provenissero realmente dalla scena del crimine del ’68.
Le domande e risposte che seguono mettono in luce la gravità del problema.
- La perizia balistica del ’68 contiene foto al microscopio o altre informazioni che possano escludere con certezza una sostituzione dei reperti? No.
- Chi svolge le indagini sul Mostro sa quando i reperti trovati nel fascicolo Mele sono stati lasciati fra le carte processuali, alla mercé delle parti e di chiunque autorizzato da un magistrato competente? No.
- Sa chi è stato a inserirli nel fascicolo? No.
- Sa effettivamente per quanto tempo sono stati nel fascicolo fra il ’68 e l’ ’82? No.
- Ha un elenco (al 2023) dei nominativi di chi ha visionato il fascicolo tra il ’68 all’ ’82? No.
- Può escludere che un soggetto pericoloso, scaltro e non identificato come il Mostro abbia consultato il fascicolo e manipolato i reperti ivi contenuti allo scopo di depistare le indagini? No.
Nulla esclude un depistaggio.
Proprio per ragioni di cautela, negli Stati Uniti, le prove di Signa non sarebbero ammesse in un processo come prove di un collegamento (link per approfondire).

Gli spostamenti del fascicolo Mele e la morte di Francesco Vinci
Alla perizia balistica del ’68 mancano foto al microscopio dei reperti originali. Come si può avere la certezza che quelli trovati nel fascicolo siano gli stessi?
Per verificare se bossoli e proiettili del Mostro non siano stati inseriti nel fascicolo a posteriori, in sostituzione dei reperti originali, è imperativo che gli inquirenti:
- ricostruiscano i passaggi delle prove;
- verifichino accuratamente la compatibilità dei reperti trovati nel fascicolo con quelli descritti nella perizia del ’68 senza omettere eventuali incongruenze. Gli avvocati di parte civile chiederanno senza essere ascoltati di esumare il corpo di Antonio Lo Bianco per verificare la possibile presenza di un proiettile che nel ’68 non era stato estratto al fine di effettuare una comparazione.
Al 2023, non risulterà che la Procura abbia mai incaricato un consulente di una relazione scritta sul confronto perizia del ’68 – prove.
Per quanto riguarda gli spostamenti dei reperti, invece, lo sforzo investigativo di ricostruirli porterà a scarsi risultati.
A cavallo degli anni ’90 – 2000, il commissario Michele Giuttari e la sua squadra del GIDES, incaricati dell’indagine sul Mostro, riusciranno ad accertare solo che le carte del processo Mele, passate da Perugia per un secondo appello, sono state ritrasmesse a Firenze qualche mese prima dell’inizio certo dei delitti del Mostro, il 1 aprile 1974.
Non c’è alcun riferimento ai corpi di reato rinvenuti nel fascicolo otto anni dopo.
Forse erano già all’interno di uno dei faldoni?
Giuttari è uno dei pochi investigatori che abbia preso sul serio l’ipotesi del depistaggio.
Nel 2024, il ricercatore Dario Quaglia scoprirà un dettaglio utile sugli spostamenti del fascicolo. Il 15 giugno 1972, è stato trasmesso al tribunale di Firenze nel corso di un’indagine a carico di Francesco Vinci, al quale era stato sequestrato un revolver calibro .22. Era stato richiesto dal sostituto procuratore di Firenze Carlo Casini, che restituisce gli atti il successivo 28 giugno. Anche in questo caso non ci sarebbero riferimenti alla presenza dei reperti trovati nel fascicolo Mele nell’ ’82.
L’avvocato dei familiari delle vittime dell’ ’85, Vieri Adriani, farà un tentativo per avere lumi dalla Procura sulla scoperta di Quaglia senza ottenere informazioni.
Nel contesto del procedimento di Lucca e della richiesta di Casini, non va dimenticata la morte di quello che è stato il primo sospettato della “pista sarda”.
Francesco Vinci, possibile detentore dell’arma di Signa, viene ucciso nell’estate del ’93, un anno prima dell’avvio del Processo Pacciani. Il suo corpo e quello dell’amico Angelo Vargiu sono nel bagagliaio di un’auto data alle fiamme nella campagna pisana, non molto distante dalla base militare americana Camp Darby. Sui loro corpi carbonizzati ci sono evidenti tracce di tortura.
Vinci era dedito alla piccola delinquenza. Quale pericoloso criminale poteva avercela con lui?
Secondo Giovanni Calamosca, suo conoscente, Vinci è stato ucciso perché conosceva il segreto della pistola del Mostro.
Alcuni ricercatori sospettano che l’autore del delitto sia proprio il serial killer.
DEPISTAGGIO
Aurelio Mattei è un criminologo che ha collaborato con il SISDE, il controspionaggio italiano, sul caso Mostro. È anche uno scrittore. Nel thriller “Coniglio il martedì” (Sperling & Kupfer, 1993) apertamente ispirato alle vicende del serial killer fiorentino l’io narrante, l’assassino, si introduce con l’inganno nell’ufficio corpi di reato di un tribunale e sostituisce i bossoli (non vengono citati i proiettili) di un vecchio delitto con repliche della sua pistola.

Il protagonista del libro di Mattei deve escogitare un modo per accedere alle prove perché in quel caso sono sigillate e custodite nel luogo appropriato, cioè l’Ufficio corpi di reato.
Si è visto che quelle reali del caso di Signa si trovavano invece nel fascicolo processuale di Mele alla portata di chiunque lo avrebbe consultato.
Per un depistatore reale, dunque, era più semplice sostituire le prove per fabbricare un collegamento che non c’era.
Forse Mattei ha ritenuto la sua ipotesi troppo audace per essere ritenuta credibile dall’autorità, perciò ha deciso di romanzarla. Eppure, scartate le alternative (unico serial killer o trasferimento dell’arma), non resta che il depistaggio.

Il depistaggio del ’68 poteva farlo solo il Mostro
Che dietro al collegamento con il delitto del ’68 ci sia un depistaggio, lo sospettano anche Giuttari e il sostituto procuratore di Perugia Giuliano Mignini, che hanno verificato un’idea del giornalista Tommaso D’Altilia nei primi anni 2000.
Ispirandosi a Mattei, D’Altilia sospettava l’esistenza di una cospirazione a livello istituzionale che avrebbe deciso di attribuire al Mostro il delitto del ’68. Un intrigo che avrebbe coinvolto anche i servizi di intelligence.4
In realtà, non è necessario teorizzare un “complotto” per spiegare il depistaggio. Questione non di poco conto, però, è che per poterlo fare prima bisognava avere bossoli e proiettili provenienti dalla pistola del Mostro.
Chiunque fosse autorizzato, magistrati, funzionari della polizia giudiziaria, cancellieri, avvocati e altri, ha avuto sotto mano le carte del processo Mele dove sono stati trovati i reperti del Mostro. Ma chi di loro avrebbe potuto avere le “repliche” per la sostituzione?
Solo gli inquirenti e il Mostro.
Le forze dell’ordine avrebbero potuto nascondere alcuni bossoli trovati sulle scene del crimine del Mostro per poi inserirli nel fascicolo Mele, per esempio.
Allegarli facendoli passare per quelli di Signa, non sarebbe stato difficile. Ma a che scopo?
E i proiettili?

A differenza dei bossoli, i proiettili si deformano all’impatto, assumendo caratteristiche peculiari. Dovevano assomigliare alle descrizioni del ’68 e, soprattutto, dovevano essercene abbastanza per una sostituzione.
L’unico omicidio accertato in cui il Mostro abbia utilizzato cartucce ramate prima del collegamento con Signa è quello del ’74.
Secondo la ricostruzione ufficiale, è stato svuotato un solo caricatore da 10 cartucce (più una in canna, forse). Gli inquirenti lo hanno dedotto dal fatto che la ragazza fosse stata ferita dai colpi per poi essere uccisa a coltellate. Sono stati trovati e catalogati 8 proiettili.
Questo significa che, anche ammesso che gli altri 3 proiettili fossero stati nascosti dai Carabinieri, sarebbero mancate 2 repliche per sostituire i proiettili di Signa, che erano 5.
Le forze dell’ordine non avrebbero avuto a disposizione abbastanza proiettili per una sostituzione senza entrare in possesso dell’arma del Mostro.

Se non è stata la polizia a sostituire le prove chi può essere stato?
Il Mostro, come ipotizza Mattei.
Solo il serial killer, infatti, con o senza l’aiuto di un complice, avrebbe potuto avere bossoli e proiettili per effettuare la sostituzione dei reperti nel fascicolo Mele e accreditarsi falsamente il delitto del ’68.

INCONGRUENZE FRA PROVE E PERIZIA DEL ’68
Per accertare se c’è stato un depistaggio occorrono:
- la perizia effettuata nel ’68 sui bossoli e i proiettili trovati sulla scena del crimine;
- le macrofoto dei reperti trovati nel fascicolo Mele nell’ ’82.
Inizio a cercare la perizia nel 2018, consultando alcuni membri del forum “imostridifirenze” – Toxicity e il blogger Herny62. Per anni, questo documento è rimasto a impolverire nei cassetti di avvocati e poliziotti.
Nel 2019, su sollecitazione mia (PaninoAlBanchetto) e del ricercatore Daniele Trinchieri (MagnottaMario) gli utenti Paz! e Jahn1 decidono di pubblicarla insieme alle macrofoto dei cinque proiettili viste in precedenza.
Qui una bella copia della perizia.
Anche se non della stessa qualità di quelle inserite in un video di Antonio Segnini (foto in basso), circolavano già alcune immagini dei bossoli trovati nel faldone, perciò era possibile finalmente effettuare un confronto con le descrizioni del ’68.

Bisogna ricordare che queste foto degli anni 2010 (autore, l’esperto Paride Minervini) ritraggono le prove trovate nel fascicolo Mele.
Non esiste invece alcuna foto al microscopio dei reperti risalente al ’68. Altrimenti sarebbe stato facile acclarare eventuali discrepanze.
Il confronto fra le descrizioni scritte di Zuntini sugli originali reperti del ’68 e le macrofoto scattate ai reperti nel fascicolo Mele non sarebbe comunque sufficiente a decretare che bossoli e proiettili rinvenuti siano gli stessi. Di sicuro, però, per essere gli stessi, devono almeno essere compatibili.
Le caratteristiche che devono corrispondere vanno dalle più banali (marca e tipologia delle munizioni, per esempio) a quelle più particolari, cioè le deformazioni subite dai proiettili e le tracce impresse dalla pistola sui bossoli.
L’esperto del ’68 non ha pesato i reperti e misurato l’ampiezza del passo di rigatura. L’assenza di questi dettagli rende ancora più incerto il riconoscimento.
Tracce sui bossoli
I principali meccanismi delle pistole automatiche che lasciano impronte sui bossoli sono: percussore, estrattore ed espulsore. La forma e il loro reciproco posizionamento evidenziati dai segni sul bossolo vengono sfruttati dagli esperti balistici per risalire a calibro dell’arma, marca e modello.
Il percussore è il meccanismo che urtando la cartuccia innesca lo sparo. Quando la cartuccia è in canna e si preme il grilletto, il percussore picchia sul bossolo, facendo partire lo sparo. In quel momento, il carrello della pistola si muove in avanti lasciando una fessura per la fuoriuscita del bossolo scarico. Il bossolo viene agganciato dall’estrattore, mentre l’espulsore lo spinge fuori dalla pistola. Il proiettile, che viaggia a 300/400 metri al secondo, quasi sicuramente ha già raggiunto il bersaglio quando il bossolo tocca terra a circa un metro di distanza dallo sparatore.
Così come la posizione del bossolo sul terreno è utile per ricostruire la dinamica degli spari, i segni lasciati in pochi attimi da percussore, estrattore ed espulsore possono essere esaminati dagli esperti per individuare l’arma che ha sparato.
Se ha sparato la stessa arma i segni devono essere conformi tra loro. Per esempio, il percussore avrà la stessa forma e le tracce di espulsore ed estrattore si troveranno allo stesso angolo.
Questi dettagli non bastano per affermare che la pistola del ’68 è la stessa che ha sparato i bossoli trovati nel faldone, ma sarebbero eventualmente sufficienti per escluderlo.
Va invece considerato quasi irrilevante per l’identificazione il rigonfiamento sui bossoli che deriva dall’utilizzo di cartucce superspeed che erroneamente il perito attribuirà a una peculiarità unica dell’arma.

L’anomalia del percussore
Nel rapporto investigativo dei Carabinieri antecedente al deposito della perizia Zuntini, viene segnalato che l’esperto del ’68 sospetti che l’arma sia una Beretta. Ovviamente, lo avrebbe potuto leggere anche un eventuale depistatore, ma non è questo il punto.
Il problema è che Zuntini scrive a pagina 21 della sua perizia:
"...abbiamo voluto condurre prove di poligono al fine di cercare possibilmente di individuare, dagli elementi esistenti, di quale arma si trattasse.
Sono state effettuate prove di tiro con 35 armi diverse, tutte però di tipo "Long Rifle" cal .22, ma in nessuna siamo riusciti a trovare un percussore che desse un segno di percussione della stessa forma di quella dei bossoli in sequestro."
Si può escludere che fra tali armi mancassero Beretta, come quella del Mostro, visti i sospetti riportati nel rapporto dei Carabinieri.
Zuntini rimarca:
"Vi sono alcune armi il cui segno di percussione (a sbarretta eccentrica) si avvicina a quello rilevabile sui bossoli in sequestro ma nessuno può darci la sicurezza assoluta per l'individuazione dell'arma incriminata."

Il segno del percussore “a sbarretta” è comune a molte armi calibro .22, anche a carabine come quella che ha espulso i bossoli in basso. Quindi è normale che Zuntini abbia fatto questa osservazione. Quello che non si spiega è come abbia potuto avere la benché minima incertezza sul fatto che appartenesse a una comune Beretta.
Forse perché non aveva sparato una Beretta? O inesperienza?

Segni quasi irrilevabili
La traccia del percussore è solo uno dei tre segni che Zuntini deve individuare e controllare per capire quale arma abbia sparato a Signa.
L’incongruenza sul segno dell’espulsore è anomala e difficilmente si può spiegare con l’inesperienza del perito. Ma ancora più difficile da spiegare è il prossimo ipotetico grave errore di osservazione.
Quello che salta immediatamente all’occhio, conoscendo cosa scriverà lo stesso perito sui bossoli del Mostro nel ’74, è la descrizione che fa delle tracce di espulsore ed estrattore.
"Rileviamo ancora che su tutti i bossoli in sequesto sono quasi irrilevabili i segni... dell'espulsore (che di norma si rileva sull'orlo del fondello in corrispondenza delle ore 20 circa)"

Si noti che l’esperto sa perfettamente dove dovrebbe vedere il segno dell’espulsore secondo il metodo dell’orologio (“di norma” a ore 8 rispetto al segno del percussore).
Questo esclude l’inesperienza.
E allora come mai la descrizione del ’68 è incongruente con ciò che si può vedere a occhio nudo, per chi non ha problemi di vista, sui bossoli del Mostro trovati nel fascicolo Mele (e sugli altri) dove il segno dell’espulsore è si nota a ore 9 circa?

La pistola del Mostro lascia una caratteristica “unghiata”, ben visibile a differenza di altre (per esempio, la Beretta 92FS calibro .22 utilizzata nel mio test di sparo).
Il segno dell’espulsore della pistola del Mostro è stato notato facilmente anche Zuntini nel primo delitto certo del ’74.
Nella relazione balistica su quel duplice omicidio ha sicuramente di fronte a sé i bossoli espulsi dalla pistola del serial killer. E fa osservazioni divergenti rispetto al ’68.
Scrive infatti:
"...i 5 bossoli repertati hanno chiaramente impresso il segno dello espulsore..."
"...sul fondello di ciascuno di essi è visibile il duplice segno dell'espulsore rilevabile alle ore 7 e alle 9..."


Una sola spiegazione logica e coerente
Il segno lasciato dall’espulsore della pistola del Mostro viene definito dallo stesso Zuntini “rilevabile”, “chiaramente impresso”.
Si può infatti vedere a occhio nudo e non c’è differenza fra un omicidio e un altro, perché è sempre lo stesso “marchio” presente su tutti i bossoli del caso Mostro con lievi differenze.
E allora come ha fatto ad avere difficoltà a vedere il segno dell’espulsore nel ’68?
Perché non ha saputo individuare con precisione dove fosse, pur sapendo in quale zona cercarlo?
Anche senza ulteriori approfondimenti (vedasi la relazione del 2021), è irragionevole pensare che nel ’68 Zuntini non abbia saputo o voluto indicare la posizione esatta di segni dell’espulsore che avrebbero dovuto essere ben visibili.
Escluso il grave errore di osservazione, rimane solo un’alternativa. Il perito balistico non aveva di fronte i reperti trovati nel fascicolo Mele.
Qualcuno ha sostituito i bossoli e i proiettili di Signa con quelli provenienti dalla pistola del Mostro.
I proiettili
Quando un proiettile attraversa la canna di una pistola durante lo sparo rimangono impresse le impronte delle rigature. Si tratta di solchi, generalmente elicoidali, che servono a imprimere una rotazione al proiettile per stabilizzarne la direzione. Possono avere direzione destrorsa o sinistrorsa. Essere quattro, cinque, sei…
I proiettili del ’68 presentavano i segni di sei rigature destrorse come i proiettili trovati nel fascicolo Mele. Però, decine di pistole di marche differenti, compresa la Beretta, hanno canne con sei rigature destrorse ed è facile procurarsele.
Quello che bisogna andare a vedere, nelle descrizioni del ’68, sono le caratteristiche peculiari dei singoli proiettili (estratte qui), per verificare se differiscono in qualche modo.

I cinque proiettili catalogati da Zuntini in A, B, C, D, E, si dividono in proiettili con la punta schiacciata (A e B), quasi integra (C), frammento (D), schiacciata sul lato (E). Anche in questo caso, sembrano corrispondere ai proiettili trovati nel fascicolo Mele (immagine in alto).
Uno, forse due, di loro, però, presenta una grave incongruenza.
Zuntini afferma che il proiettile A mostra:
"...nella parte ogivale deformata una sbavatura di metallo rivolta a destra cioè nel senso della rigatura..."

Come si può notare nell’immagine, la sbavatura di metallo nella “parte ogivale” dello pseudo proiettile E (sottolineata in verde) oltre a non essere tecnicamente una “sbavatura”, bensì una scalfittura che non viene descritta, è quasi ortogonale alla rigatura (sottolineata in rosso) e non è rivolta a destra.
Sembra che il depistatore abbia cercato di ottenere la citata sbavatura premendo la punta di una lima sul metallo in senso ortagonale, con il risultato controproducente di produrre un’incisione di cui il perito non parla.
Il secondo problema riguarda uno dei due proiettili con la punta schiacciata, il proiettile A, che presenterebbe:
"...incisioni abbastanza profonde con andamento assiale..."
Come si può constatare nell’immagine in basso, a parte il solco della rigaturata, non c’è alcuna incisione sui due proiettili con la punta schiacciata trovati nel fascicolo Mele.
Per avere la conferma dell’incongruenza, però, bisognerebbe avere un’immagine dell’altro lato.

PROBABILITÀ
Quanto è probabile che un serial killer sostituisca le prove allegate a un fascicolo processuale per depistare le indagini su se stesso?
Alcuni risponderebbero:
“Poco. Quando mai accade una cosa del genere nel mondo reale?”
Quello che è considerato “inverosimile”, però, deriva sempre da un’esperienza limitata. A volte si ignora anche il contesto.
Nel caso Mostro, vari fatti mettono in dubbio che le prove allegate al fascicolo Mele fossero le stesse del ’68. Li riepilogo:
- Le incongruenze emerse dal confronto fra perizia del ’68 e i reperti;
- La loro collocazione fuori dall’Ufficio corpi di reato (non sarebbero ammessi in un processo americano come prove di colpevolezza);
- L’esito inconcludente dell’indagine sulla pista sarda, con il serial killer che ha continuato a uccidere noncurante in apparenza delle attività investigative scaturite dal collegamento (che forse è dovuto a una sua segnalazione – vedi “cittadino amico”);
- Il rompicapo della pistola del Mostro: perché Mele, che ha quasi certamente assistito al delitto del ’68, avrebbe mentito sull’identità del killer? O in che modo sarebbe stata trasferita l’arma del primo omicida al Mostro?
In queste circostanze, per quanto quanto possa sembrare inversomile, l’eventualità di un depistaggio esiste. Ma come sapere quanto è probabile?

Un bivio
Per stimare la probabilità di una sostituzione dei reperti si possono prendere in considerazione le incongruenze fra le descrizioni di Zuntini e le prove nel fascicolo Mele.
Una precisazione.
Tali incongruenze non sono motivabili con un errato rimescolamento con altri reperti del caso Mostro.
Per quanto riguarda i bossoli, le tracce lasciate dall’arma del serial killer sono simili anche su tutti gli altri bossoli.
Per quanto riguarda i proiettili, tutti di tipo ramato, negli omicidi certi del Mostro ne risultano repertati solo nove, dei quali otto nel ’74 e uno nell’ ’83. Un loro ipotetico miscuglio con quelli di Signa non risolverebbe il problema delle discrepanze (alcune eventuali) che segnalo nella relazione del 2021.
L’alternativa al depistaggio è la supposta incapacità di osservazione di Zuntini nel ’68. Il perito, nella sua relazione:
- Definisce “quasi irrilevabili” i segni dell’espulsore e dell’estrattore sui bossoli di Signa;
- Non indica dove si trovano queste tracce, ma segnala dove le vede “di norma”;
- Non cita il segno dell’espulsore per escludere che l’arma sia un revolver;
- Non ipotizza marca e modello della pistola;
- Afferma di non aver trovato un segno del percussore identico a quello dell’arma del delitto nel confronto con 35 armi fra le quali sicuramente dovevano esserci le popolarissime Beretta tanto più che aveva confidato in precedenza ai Carabinieri l’ipotesi che fosse di quella marca (rapporto Matassino).
L’unica spiegazione coerente e plausibile di questi dati deriva da un’interpretazione letterale di quanto scrive Zuntini.
Se bossoli e proiettili nel fascicolo Mele fossero stati gli stessi del ’68, il perito non avrebbe saputo osservare e identificare correttamente le tracce più importanti dei bossoli, visibili a occhio nudo, sbagliando anche qualche osservazione sui proiettili.
Le tracce di percussore, espulsore ed estrattore servono a identificare marca e modello di un’arma. L’incapacità di Zuntini spiegherebbe perché, nonostante l’ipotesi che fosse una Beretta, e 35 prove di sparo, nella relazione ha preferito non esprimersi su marca e modello dell’arma (a differenza del ’74).
Valutati i fatti, si è di fronte a un bivio.
- Errori di Zuntini;
- Depistaggio.
La domanda da fare agli esperti
A questo punto, si potrebbe pensare che sia utile porre a un equipe di esperti la seguente domanda:
Ritenete più verosimile che Zuntini sia stato incapace di fare alcune semplici osservazioni o che il Mostro abbia depistato le indagini?
Il problema di questa domanda è che le risposte rifletterebbero solamente le conoscenze e l’esperienza personale degli intervistati.
Non darebbero alcuna indicazione sulla probabilità dei due eventi.
Come eludere il problema? Rispondendo a un’altra domanda.
Quanto è probabile che un esperto balistico come Zuntini sia incapace di fare alcune semplici osservazioni (per esempio, indicare dove si trovino i segni dell'espulsore) così da escludere un depistaggio?
Gli esperti non devono essere consultati per avere un parere sul depistaggio (anche se è sempre utile) ma per sapere quanti di loro siano capaci o incapaci di fare semplici osservazioni.
In questo modo è possibile stimare la probabilità (attualizzata ai giorni nostri) che un perito come Zuntini possa essersi sbagliato.
In presenza di un aut-aut (errori o depistaggio) dove un’alternativa esclude l’altra, trovare la probabilità di un evento significa trovare quella dell’altro.
Ritengo che in questo caso Zuntini possa essere assimilato agli esperti balistici odierni perché le osservazioni incongruenti erano semplici da fare, compresa quella sulla traccia dell’espulsore, e non necessitavano di mezzi tecnologici o conoscenze che lui non aveva nel ’68.
Nel 2021, prima di effettuare un campionamento probabilistico, ho consultato 11 esperti di varie regioni scelti tramite ricerca web.
Con il loro beneplacito, gli esperti sono stati edotti solo dell’argomento generale (Mostro di Firenze) e non del motivo della consultazione, al fine di non influenzarli.
La consultazione è stata effettuata via e-mail o per telefono. Copia delle domande e delle risposte è stata allegata alla relazione fornita ai Carabinieri di Firenze nel 2021.
Non rendo pubblici i loro nomi poiché potrebbero essere sentiti dai magistrati o dalle forze dell’ordine.
Ho sottoposto loro:
- alcune immagini dei reperti trovati nel fascicolo Mele;
- un quesito su alcune immagini dei reperti con risposte chiuse, fra le quali c’erano le descrizioni di Zuntini.
Gli esperti hanno risposto velocemente e senza problemi, nonostante le foto a bassa risoluzione, a riscontro che si tratta di osservazioni semplici.
Non tutti gli 11 esperti hanno risposto completamente alle mie domande, ma nessuna delle loro risposte conteneva le incongruenze di Zuntini.
Campione casuale semplice di 10 esperti
Nel 2021, non c’era un’unica lista nazionale di periti e consulenti iscritti agli albi consultabile sul sito web del Ministero della Giustizia.
Alcuni tribunali avevano liste sul loro sito, altri no e ho dovuto contattarli via email.
Alla fine della ricerca, avevo un totale di 263 nominativi di esperti balistici iscritti alle liste di 138 tribunali di Italia degli attuali 140. Nella relazione avevo fatto richiesta /conteggiato alcuni che erano in dismissione, per un totale di 155. Per correggere il numero della popolazione ne avevo aggiunti 1,9 (media di esperti balistici per tribunale) per ogni tribunale. Approssimando in eccesso, si può dire che la popolazione è 300.
Vista l’univocità dei risultati della consultazione precedente, ho previsto che mi sarebbero bastati 10 esperti per ottenere un risultato utile.
Faccio presente che ho sbagliato il calcolo nella relazione del 2021, ma sulla base dei dati disponinibili è facile correggerlo.
Ho imposto come regola di escludere le persone che avevo consultato e chi si era già occupato del caso Mostro. Dopo il sorteggio, ho dovuto sostituire con una nuova estrazione chi era stato inserito nelle liste per errore (2 nominativi).
Il nome di ogni esperto era scritto su bigliettini che ho estratto casualmente da un contenitore.
Ai 10 esperti sorteggiati, anche loro contattati via email o per telefono, ho mostrato le foto dei proiettili e di un bossolo allegato al fascicolo Mele tratti dalla perizia balistica di Paride Minervini (2016). Ho sottoposto loro alcuni quesiti, senza metterli al corrente del motivo per non influenzarli.
Anche le loro risposte sono state allegate alla relazione consegnata agli iniquirenti nel 2021.

Risultati
Sia nella selezione a scelta ragionata sia in quella casuale che mi ha portato a consultare circa il 7% della popolazione di esperti balistici iscritti negli albi dei tribunali, il 100% di loro ha saputo riconoscere e indicare dove si trovasse il segno dell’espulsore, a differenza di Zuntini.
C’era d’aspettarselo, visto che anche una persona senza particolari conoscenze balistiche è in grado di distinguerlo sui bossoli allegati al fascicolo Mele.

Per quanto riguarda, tutte le anomalie, le risposte dei 10 esperti sorteggiati hanno dato questi risultati.
- Zero esperti (a differenze di Zuntini) hanno definito “quasi irrilevabile” il segno dell’espulsore sul bossolo trovato nel faldone, sapendolo individuare correttamente;
- Zero esperti (a differenza di Zuntini) hanno osservato incisioni da impatto sul proiettile A (ma possono essere sul lato nascosto);
- Uno di loro ha definito “sbavatura parallela alla rigatura” la scalfittura del proiettile E;
- Nessuno ha commesso tutti e tre i presunti errori di Zuntini.

A prescindere dal metodo di campionamento (da casaccio a casuale), all’aumentare degli esperti consultati la proporzione di coloro che contraddicevano le osservazioni di Zuntini sull’espulsore, o non facevano la serie completa di errori sulle caratteristiche dei proiettili (di cui alcuni eventuali, come si è detto), è rimasta invariata (100%).
Visto l’esito di queste 21 interviste, si può ragionevolmente ipotizzare che nella popolazione complessiva di esperti balistici professionisti in Italia:
- La maggioranza sarà in grado di indicare con sicurezza la traccia dell’espulsore dei bossoli allegati al fascicolo Mele;
- La maggioranza non farà l’ipotetica serie completa di errori di Zuntini nell’osservazione/descrizione dei proiettili.
Ricordo che nella mia relazione consegnata agli inquirenti il calcolo riportato è sbagliato, per vari motivi, e che però può essere facilmente corretto.
Considerando i 10 esperti sorteggiati, se si usa questo calcolatore online (formula in basso), con un livello di confidenza del 99% e massima variabilità, si può essere quasi certi che la probabilità che l’esito del “sondaggio” NON rifletta correttamente le risposte di tutta la popolazione di 300 esperti è pari al 40% (margine di errore).

Siccome le risposte sono univoche, quel 40% può essere commutato nella stima della probabilità che un esperto balistico iscritto agli albi, come Zuntini, sia incapace di effettuare correttamente l’osservazione sull’espulsore che giustificherebbe le incongruenze fra perizia del ’68 e le prove allegate.
Lo stesso vale per i proiettili, se le discrepanze fossero accertate.
Questo significa che, attualizzando la perizia Zuntini, la probabilità che l’esperto del ’68 abbia sbagliato è inferiore a quella del depistaggio.
Il depistaggio ha una probabilità del 60% di essersi verificato.

È ben possibile che sia una sottostima. Infatti, conteggiando anche le risposte degli esperti selezionati a scelta ragionata (100% di successi nelle risposte avute), la probabilità salirebbe al 73%.
Si può fare un pronostico utilizzando una proporzione campionaria e un intervallo di confidenza.
Aggiungendo virtualmente un esperto che sbaglia (un ipotetico Zuntini) ai 10 esperti sorteggiati, supponendo che questa proporzione (10 su 11 esperti che fanno osservazioni corrette) sia affidabile come stima della proporzione di tutti i periti, per un livello di confidenza del 99%, la probabilità del depistaggio (91% ± 22%) sarebbe compresa fra il 69% e il 100%.
Vuol dire che l’evento “depistaggio” avrebbe una probabilità superiore al 69% di essersi verificato. E che la sua probabilità minima è più del doppio dell’alternativa.
In conclusione, il depistaggio è la soluzione più probabile dell’enigma della pistola del Mostro.
TEST DI SPARO E RICOSTRUZIONE DEI FATTI
Analizzando i fatti imparzialmente, senza preconcetti, utilizzando un approccio scientifico, l’ipotesi apparentemente più lontana dal senso comune, il depistaggio, alla fine risulta quella più probabile.
Nonostante quanto scritto anche in un precedente articolo, qualcuno ha faticato ad accettare che il Mostro potesse aver sostituito le prove del delitto del ’68.
Questa analisi obbliga a confrontarsi con un serial killer diverso da quello che molti hanno ritenuto. Chiunque avrebbe potuto fare il depistaggio. Ma solo alcuni avrebbe saputo farlo.

Consultare un fascicolo penale
Un Mostro nelle istituzioni? Un magistrato? Un poliziotto? Un cancelliere? Possibile. Ma non era necessario essere una di queste tre figure per poter consultare il fascicolo processuale di Stefano Mele. Soprattutto dopo la sentenza definitiva del 14 aprile 1973.
Oggi come negli anni ’70, potevano consultare il fascicolo l’imputato, le parti, e chiunque ottenesse un’autorizzazione dal magistrato competente (all’epoca, dopo la sentenza definitiva, erano il presidente della corte d’appello e del tribunale).
Il depistatore doveva semplicemente rientrare in una di queste categorie.
Non erano necessarie le doti di un prestigiatore per sostituire le prove.
Le sale di consultazione dei tribunali italiani non sono inaccessibili uffici della pubblica amministrazione dove si leggono si sfogliano fascicoli sotto stretta sorveglianza.
Non è l’ufficio corpi di reato (dove avrebbero dovuto essere i reperti del ’68), nel quale si conservano le prove sotto sigillo e si può accedere solo a ferree condizioni.
In base alla mia esperienza diretta, una volta preso il fascicolo processuale in una sala consultazione di tribunale, ci si siede a un tavolino e si sfogliano le carte senza che i cancellieri prestino attenzione o quasi.
D’altronde dovrebbero esserci all’interno solo copie di documenti e di atti. Non i corpi di reato di un duplice omicidio.
Un sacchettino contenente cinque bossoli e cinque proiettili calibro .22 pesa pochi grammi e si nasconde in un pugno chiuso. Se si trova in un fascicolo processuale, sostituirlo senza dare nell’occhio è facile.

Ricostruzione dei fatti
Il fascicolo Mele viene trasmesso da Perugia a Firenze il 1 aprile 1974.
Il caso è stato chiuso circa un anno prima. Perché questo ritardo? Verosimilmente a Perugia si sono dimenticati di trasmettere le carte al tribunale competente di Firenze.
È possibile che se ne siano accorti solo quando qualcuno, a Perugia o a Firenze, ne ha fatto richiesta per una consultazione.
Vista la data, di pochi mesi antecedente al primo delitto accertato del Mostro è possibile che quel qualcuno fosse proprio il “depistatore“.
Dopo questa breve premessa, ecco una ricostruzione dei fatti.
Primavera del ’74.
Mentre l’influenza della P2 di Licio Gelli si propaga nelle istituzioni, un investigatore militare statunitense di stanza in Toscana contatta un omologo italiano che fa parte dell’ambiente giudiziario locale.
Il detective americano gli confida che sta seguendo una pista in un’indagine nella base di Camp Darby a Pisa. È implicato un gruppo di sardi, secondo lui. In particolare uno di loro, un certo Francesco Vinci già indagato in un duplice omicidio del ’68 commesso a Signa, vicino a Firenze.
Per questo motivo, gli farebbe comodo consultare le carte su quel delitto.
L’americano non rivela al suo interlocutore che ha saputo del caso di Signa facendo una ricerca in una biblioteca.
Ha setacciato per giorni vecchi giornali locali in cerca di notizie su omicidi commessi nei dintorni di Firenze, quando lui trovava lontano dall’Italia.
Ha scoperto quel duplice omicidio sulle pagine della Nazione del ’68.
Vittime una coppia di amanti uccisi in una strada di campagna. La pistola non era stata trovata. Il marito di lei, Stefano Mele, ha prima confessato, poi ha ritrattato accusando altre persone.
Dopo qualche giorno, apprende dal suo interlocutore che il processo Mele si è concluso nel ’73 e che il fascicolo processuale contenente tutte le informazioni che gli occorrono si trova nella cancelleria del Tribunale di Perugia.
“Ho già chiesto la trasmissione degli atti”, gli dice l’uomo a cui ha chiesto aiuto.
Forse è metà aprile quando il detective americano si reca al Palazzo di Giustizia di Firenze, dove ha un appuntamento con il suo interlocutore.
Bevono insieme un caffè, poi si recano in cancelleria, dove viene loro consegnato il primo faldone del fascicolo Mele.
L’americano viene lasciato solo in un ufficio della sezione di polizia giudiziaria con il faldone da consultare.
“Ci vediamo dopo.”

L’americano estrae dal faldone un rapporto investigativo dei Carabinieri. Legge il titolo: “Rapporto giudiziario relativo alla denuncia in stato di arresto di Mele Stefano…”.
Il verbalizzante del rapporto, il brigadiere Gerardo Matassino, scrive che forse la pistola era una Beretta, stando al perito balistico.
Sfoglia qualche altra pagina.
Cosa stava facendo lui la notte del 21 agosto 1968, quando quella coppia era stata assassinata vicino a Firenze?
Riecheggiano nella sua memoria il suono dei mortai del nemico e delle bombe sganciate dai loro B52 in una terra lontana. Lo hanno fatto diventare quasi sordo.
Dopo un quarto d’ora di lettura, l’americano tira fuori altre carte.
Si imbatte nelle motivazioni della sentenza di condanna di primo grado. La sfoglia. “La pistola non è stata trovata.”
Mentre estrae un nuovo plico dal faldone, cade quaclosa sul pavimento.
Raccoglie il sacchetto. “Che cos’è?”
L’americano è esterrefatto. Sono i bossoli e i proiettili del delitto.
“Si sono dimenticati le prove fra le carte.”
Forse hanno inserito i reperti a Perugia quando hanno trasmesso il fascicolo?
Ripone il sacchetto nel faldone.
Dopo mezz’ora, ha concluso di leggere la perizia balistica.
“Non ci sono foto al microscopio, bene.”
“Per intestarmi l’omicidio, non è necessario scrivere una lettera,” constata. “Devo trovare una pistola simile a quella che ha sparato alla coppia di Signa e scostituire le prove con i miei bossoli e proiettili.”
L’americano vuole avere a disposizione una pistola collegata a quel delitto per cui ha un alibi da esibire.
Il piano è chiaro nella sua mente. Userà la stessa arma per uccidere, così da ingannare chi lo indagherà. E nel malaugurato caso in cui finisse indagato, sarebbe proprio la pistola a scagionarlo.
“Non c’ero nel ’68. Come posso essere io l’assassino?”
Si guarda attorno. I cancellieri non gli prestano la minima attenzione.

Breve parentesi.
Sopra un report amministrativo del CID del 24 aprile 1974 che denuncia la diffusione di armi non autorizzate nelle installazioni militari statunitensi.
Citando l’estratto di un’indagine in una base si sottolinea come è stato scoperto che in un periodo 6 mesi nel ’73 sono state acquistate 165 pistole dai soldati, di cui 84 erano “Saturday Night Special” (pistole economiche e inaffidabili di piccolo calibro).
Gli investigatori hanno appurato che per poterle acquistare bastava dimostrare di avere più di 21 anni e presentare un’autocertificazione in cui si dichiarava di essere incensurati.
All’epoca del possibile depistaggio, un soldato americano di stanza in Italia può far arrivare una pistola dagli Stati Uniti tramite spedizione militare insieme alle forniture di casa, senza informare le autorità italiane. L’unico obbligo sarebbe quello di denunciare l’arma al locale Provost Marshall entro tre giorni dall’arrivo.
Queste informazioni si trovano in un pamphlet del ’74 del Department of the Army, “Italy, facts you need to know”.

Una pistola affidabile
La pistola deve essere compatibile per produrre le repliche dei reperti trovati nel fascicolo Mele, ma le caratteristiche descritte nella perizia del ’68 sono generiche.
L’investigatore americano sa già che può scegliere tra svariate pistole calibro .22, con una canna a sei rigature destrorse e un percussore a sbarretta, come quella del ’68.
Per ragioni di prudenza decide di ignorare le conclusioni del perito che la definiscono “vecchia e logora“.
Quella pistola non la dovrà usare soltanto per sostituire le prove, ma per sparare. Non si affiderà mai a una “Saturday night special”. Serve un’arma affidabile.
Va al poligono di tiro e ne prova alcune.
Non ha bisogno di molto tempo per rendersi conto che le Beretta della serie 70 sono adatte allo scopo. Stesso percussore a forma di sbarretta, sei rigature destrorse.
Affidabili e popolari, si vendono anche negli Stati Uniti.5
L’americano sa che può importare armi di piccolo calibro come una .22 nel bagaglio da stiva degli aerei commerciali oppure, tramite l’esercito, con le forniture di casa evitando le procedure doganali.
È permesso detenere le calibro .22 negli alloggi. Registrarle presso il Provost Marshal locale entro tre giorni dall’arrivo nella base è l’unico adempimento prescritto.6
Ma mancano poche settimane al congedo. Forse si può anche correre il rischio di non denunciarla.
L’americano si stabilirà vicino a Firenze da luglio. Tutto è stato definito già tra la fine di gennaio e metà febbraio del ’74, quando è tornato in patria per accordarsi definitivamente con il suo prossimo datore di lavoro. Un’agenzia indipendente del Governo che lavora anche in Italia affiancando la missione americana.
Un impiego tranquillo con passaporto diplomatico. Avrà tempo per ambientarsi, studiare il territorio, le sue possibili vittime e colpire.
Durante la licenza negli States, l’americano ha avuto anche il tempo di fare una visita a un ex collega che si è da poco trasferito a Santa Rosa, California.
Si trova a nord di San Francisco, dove il suo alter ego criminale ha ucciso almeno cinque persone e lo ha reso molto famoso. Da quanto tempo non tornava e mandava una delle sue lettere?
Il collega gli ha raccontato di alcune autostoppiste uccise lì a Santa Rosa.
Ha spedito una lettera al San Francisco Chronicle citando “L’Esorcista” e disegnando un simbolo che ha visto in un ritaglio di giornale sugli omicidi delle autostoppiste. Glielo ha mostrato l’amico.
Qualche giorno dopo ha inviato una seconda lettera firmandosi “un amico”.
“Vediamo se capiscono cosa significano i simboli.”



L’americano torna in patria, forse nel maggio ’74. Occasione di una seconda lettera in cui si firma “a citizen”, un cittadino.
Un cittadino, un amico…


Deve traslocare definitivamente in Italia. Può comprare la pistola nel suo stato di origine. Sceglie una Beretta Jaguar.
La impacchetta e la mette tra le forniture spedizione di forniture tramite canali militari per evitare la dogana italiana.
Non la denuncerà al Provost Marshall, a meno che non sia costretto.
In ogni caso, quella pistola non risulterà alle autorità italiane.
Tra l’altro corre pochi rischi con la polizia locale, perché il suo futuro alloggio è una pertinenza della missione americana in Italia, proprietà del demanio concessa in perpetuo al governo americano.


La duplicazione delle prove
Quello che all’investigatore militare serve ora sono diffusissime munizioni Winchester .22 superspeed che si vendono in molte armerie.7
All’epoca queste munizioni avevano la lettera “H” impressa sul fondello dei bossoli.
Affinché la sostituzione delle prove non venga scoperta, il detective deve riprodurre fedelmente, nel limite del possibile, i cinque proiettili descritti nel 1968.
Riepilogando: due con la punta schiacciata (A e B), uno con la punta quasi integra (C), un frammento (D) e uno con la punta schiacciata sul lato (E).
Se andasse al poligono a sparare contro un bersaglio fisso non otterrebbe che frammenti piatti come quelli nella foto sotto. Sono utili solo per la sostituzione di D.

L’investigatore non ha bisogno di riflettere molto sul da farsi.
Decide di andare al Post Exchange della base e chiedere della gelatina alimentare. Deve essere abbastanza tenace. Se non ce l’hanno, può sempre acquistarla altrove.

Gli occorreranno anche qualche padella, del pentolame e una lamiera. Se non le ha a casa, può trovarle in campagna o in discarica.

Tornato all’alloggio con 1 kg di gelatina in polvere, procede con la ricetta.
In una pentola capiente versa tutta la gelatina in polvere e 9 litri d’acqua. Inizia a mescolare. Quando è sciolta, accende il fornello.
Continua a mescolare. Prima che raggiunga il bollore, spegne il fuoco e versa in una ciotola a forma di parallelepipido, con una lunghezza di circa 50 cm.
Dopo 10 ore in frigorifero, la gelatina sarà pronta.

Il giorno successivo, il detective prende la forma di gelatina, il pentolamen, la lamiera e si reca al poligono di tiro.
Sposta un tavolino davanti ai bersagli, ci appoggia sopra la gelatina. Poi, si allontana qualche metro, carica la pistola, mira e inizia a sparare alla gelatina.

Il proiettile superspeed raggiunge una velocità vicina ai 400 metri al secondo, forando lamiere di metallo e padelle, ma basta un blocco di gelatina di 10 kg per fermarlo.
Alcuni proiettili riescono a trapassarlo, come si vede in questo video, ma sono senza più spinta e bastano un paio di pantaloni per bloccarli.

Con questo trucco, si ottengono proiettili quasi del tutto integri e il detective ricava facilmente il sostituto del proiettile C.
Gli restano il frammento D (ha l’imbarazzo della scelta) e i due proiettili schiacciati in punta e quello ammaccatto di lato.
La lamiera e il pentolame servono per questi ultimi tre proiettili. Bisogna posizionarli davanti alla gelatina e spararare, così il proiettile si deformerà impattando sulla superficie metallica, prima di forarla ed essere catturato dalla gelatina.

Al detective occorrerà un po’ di tempo per avere i proiettili che gli servono. Dovrà provare e riprovare, prima di essere soddisfatto del risultato.
Qualcuno, probabilmente, avrà bisogno di un’aggiustatina.

Una volta ottenuti i proiettili sostitutivi, il detective si dedica alla parte più facile, i bossoli.
Il suo è un errore, ma è davvero difficile rendersene conto.
Si china e, fra le decine dei bossoli caduti sul terreno mentre sparava, ne raccoglie cinque.
Ora ha le prove che gli servono per collegare la sua pistola al delitto del 1968, quelle che gli investigatori troveranno nel fascicolo Mele.
Non gli resta che tornare in tribunale e sostituire le originali con le repliche ottenute con la sua pistola.

Qual è stato l’errore del detective? Aver aspettato prima di raccogliere i bossoli dal terreno.
Per produrre i proiettili falsi, non ha utilizzato soltanto 10 cartucce come quelle sparate dall’assassino di Signa. Doveva essere certo di avere i migliori esemplari per la sostituzione, perciò è arrivato ad aprire una terza scatola da 50. L’assassino del 1968 ne aveva avuto bisogno di una soltanto, al massimo due, se stavano per finirel cartucce .
Quando il detective ha raccolto da terra i cinque bossoli che gli servivano per la sostituzione, ha mischiato i bossoli delle scatole da cui aveva preso le cartucce.
Non poteva prevedere che, 48 anni dopo, il blogger Segnini sarebbe andato a controllare la forma delle H sul fondello del bossolo, accorgendosi che avevano tutte una forma diversa, cioè che appartenevano a diverse scatole.
Perché mai l’assassino di Signa per riempire il suo caricatore da 10 colpi avrebbe usato cartucce di scatole diverse?
La soluzione dell’enigma è che i bossoli nel fascicolo Mele non sono stati sparati a Signa, ma raccolti senza distinzione dal terreno del poligono di tiro dove il depistatore, cioè il Mostro, ha sparato decine di colpi utilizzando più di una scatola.

Il movente del depistaggio per “Zodiac”
Penso che i proiettili e bossoli originari di Signa fossero stati davvero incautamente lasciati nel fascicolo Mele. Questo spiegherebbe come è nata nel serial killer l’idea depistaggio. A suggerirgliela può essere stata la loro presenza fisica nel fascicolo, che doveva aver consultato eventualmente solo per avere informazioni privilegiate e accreditarsi il crimine con una lettera di rivendicazione.
Il movente del depistaggio è il rischio concreto che avrebbe comportato per lui, già ricercato in patria, proseguire i suoi attacchi alle coppie in Italia. Se non vuole rinunciare all’agognata fama, ha bisogno di un escamotage per evitare di essere individuato prima di tornare a commettere i suoi crimini rari e a “sfidare” la polizia.
Zodiac (come lo sarà il “Mostro”) non è un serial killer che improvvisa. Ha dimostrato scaltrezza e capacità di tenere testa alle forze dell’ordine in California.
Nella lunga lettera del 9 novembre 1969, il serial killer risponde alle provocazioni della polizia di San Francisco che lo “diffama” dandogli del criminale maldestro, spiegando che si traveste quando commette omicidi e che non lascia impronte perché applica due strati di colla del tipo “Superattack” sui polpastrelli e indossa copridita. Sfoggia il suo sapere scrivendo che sa che la polizia può risalire a lui tramite un’indagine merceologica sui prodotti di uso domestico acquistati, e non solo con una verifica sulle pistole (precisa che quelle da lui utilizzate non sarebbero rintracciabili).

All’inizio degli anni ’70, in Italia, “Zodiac” può aver pensato che senza proteggersi in anticipo la polizia prima o poi sarebbe stata in grado di risalire a lui. Il depistaggio gli avrebbe offerto la possibilità di aggredire coppie anche a Firenze con maggiore sicurezza.
Inoltre si è visto come un tratto tipico di Zodiac fosse il piacere che provava nell’irridere la polizia, come osserva il profiler dell’FBI Ankrom. Il depistaggio gli avrebbe procurato anche questa soddisfazione. Forse è il principale motivo per cui non si è disfatto della sua famigerata pistola calibro .22, che è diventata la “firma” dei suoi delitti.
Bevilacqua, 20 di carriera militare nell’esercito, aveva un alibi per il caso di Signa, trovandosi all’estero nel ‘68. Questo spiegherebbe perché possa essersi inizialmente interessato a quel delitto.
Il futuro direttore del Cimitero Americano di Firenze era già da qualche anno di stanza a Camp Darby, vicino a Pisa, quando il 1 aprile 1974 il fascicolo Mele (dove anni dopo sarebbero stati trovati bossoli e proiettili del Mostro) è stato trasmesso dal Tribunale di Perugia a quello di Firenze.
Bevilacqua avrebbe avuto il tempo, le capacità e il movente per effettuare il depistaggio.

Note
- Gli esperti incaricati dalla Procura della Repubblica di Firenze sono concordi sulla marca dell’arma del Mostro. Il primo a individuarla è stato il colonnello d’artiglieria Innocenzo Zuntini nella sua relazione del 1974. ↩︎
- Mario Rotella, sentenza di proscioglimento “pista sarda”, 13 1989, p. 60. ↩︎
- Mario Spezi, “L’indagine fu riaperta quasi per caso”, La Nazione, 27 gennaio 1984, p. 2.Mario Spezi, “L’indagine fu riaperta quasi per caso”, La Nazione, 27 gennaio 1984, p. 2. ↩︎
- Paolo Micheli, sentenza di proscioglimento “Narducci”, 20 aprile 2010, p. 20. ↩︎
- Vedasi questa inserzione pubblicitaria su The Vincennes Sun-Commercial, 18 marzo 1970, p. 15. ↩︎
- Department of the Army, Italy, facts you need to know, GPO, giugno 1974, p. 28. ↩︎
- Per esempio, viene citata in un’inserzione pubblicitaria sul Deseret News, 2 aprile 1970, p. 4A. ↩︎



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